lunedì 29 luglio 2019

LE SORPRENDENTI E RECENTI SCOPERTE NEL CAMPO DELLO GNOSTICISMO - NAG HAMMADI SECONDA PARTE

( continua da prima parte) Sapendo ciò “egli” può comprendere l’argomento della formula che, altrimenti, dai semplici termini del suo linguaggio non sarebbe comprensibile, anche in questa versione più completa.

Il lettore di Ireneo sa inoltre (il che è ugualmente indispensabile per la comprensione della formula) che l’Ignoranza e la Passione nominate qui non sono l’ignoranza e la passione ordinarie che sono in noi, ma Ignoranza e Passione in senso universale, su scala metafisica e all’origine delle cose;

che, lungi dall’essere puramente astratte, esse denotano eventi concreti ed entità del mito cosmogonico;

che  gli  stati  soggettivi  che  apparentemente  indicano,  essendo  quelli  di  potenze divine, hanno efficacia oggettiva, e un’efficacia sul piano della vita interiore di cui sono stati – la vita intima della divinità -, e perciò possono essere il fondamento di quelle realtà sostanziali, totali, come il cosmo e la materia.

In breve, la premessa della formula, da essa presupposta e richiesta per la sua comprensione, è il mito valentiniano completo, di cui la formula è di fatto l’epitome:

quella speculazione sull’origine delle cose che è stata svolta nel racconto del Pleroma, della Sophia e del Demiurgo.

Il lettore di Ireneo è in possesso di questa premessa, anzi di parecchie versioni di essa, quando giunge al passo in questione.

Il lettore del Vangelo di Verità si trova forse nella stessa posizione, supposto che non abbia a disposizione che il Vangelo di Verità?

Chiedere ciò significa domandarsi se il “racconto” degli inizi a cui la formula fa riferimento è riportato nel Vangelo stesso.

La risposta è «sì e no».

Il racconto è offerto e nello stesso tempo trattenuto, le sue linee essenziali sono chiare per coloro che lo conoscono già, ma sono velate in modo provocante per coloro che non lo conoscono.

Ciò che segue è una citazione dei molteplici passi del Vangelo di Verità, in ordine di ricorrenza, che trattano il passato primordiale e – per adoperare l’argomento della «formula» – il futuro escatologico come suo contrappunto.

«Il tutto era alla ricerca di Colui dal quale era venuto… l’unico incomprensibile, impensabile, che è superiore ad ogni pensiero.

L’Ignoranza riguardo al Padre aveva prodotto Angoscia e Terrore.

E l’Angoscia divenne densa come nebbia cosicché nessuno poteva vedere.

Perciò l’Errore (“plane”) guadagnò forza.

Si mise a lavorare sulla propria materia (“hyle”), nel vuoto, non conoscendo la Verità.

Si industriò per comporre   una   forma   (“plasma”)   sforzandosi   di   produrre   in   bellezza   (bella apparenza)   un   sostituto   della   Verità  .   Essi   erano   un   Niente, quell’Angoscia,  quella  Dimenticanza  e  quella  forma  di  Falsità  … Non avendo così alcuna radice l’Errore era immerso in una nebbia riguardo al Padre mentre si applicava a produrre opere e dimenticanze e terrori per attirare, per loro mezzo, coloro che sono nel Mezzo e imprigionarli … La Dimenticanza non aveva originato vicino al (o, con il) Padre, sebbene originasse a causa di Lui.

Al contrario, ciò che ha origine in Lui è la Conoscenza che è stata rivelata, cosicché la Dimenticanza potesse essere dissolta ed essi potessero conoscere il Padre.

Siccome la Dimenticanza venne all’essere perché essi non conoscevano il Padre, perciò se raggiungono la conoscenza del Padre, la Dimenticanza nello stesso istante non è più esistente.

Quello dunque è il Vangelo di Colui che essi cercano, che Gesù Cristo ha rivelato al Perfetto, grazie alla misericordia del Padre, come un mistero nascosto … Il Tutto era bisognoso (del Padre) perché Egli aveva trattenuto in Se stesso la perfezione che non aveva accordato al Tutto … Egli aveva trattenuto la loro perfezione in Se stesso, accordandola ad essi (più tardi) affinché ritornassero a Lui e potessero conoscerlo per mezzo di una conoscenza unica in perfezione … Perché, di che cosa aveva bisogno il Tutto se non della conoscenza del Padre?

… La perfezione del Tutto essendo nel Padre, è necessario che il Tutto riascenda a Lui … Essi avevano deviato (dai loro luoghi) quando avevano ricevuto l’Errore, a causa della profondità di Colui che circonda tutti gli spazi… Era un grande prodigio che essi fossero nel Padre senza conoscerlo e che fosse possibile che  essi  fuggissero  via  per  loro volontà,  perché  non  potevano  comprenderlo  né conoscere Colui nel quale essi erano … Tale è la Conoscenza di questo Libro vivente che Egli ha rivelato agli Eoni alla fine … (Il Padre) rivela quello che di Sé era nascosto – ciò che di Lui era nascosto era Suo Figlio – cosicché per la misericordia del Padre, gli Eoni potessero conoscerLo e cessare di affannarsi alla ricerca di Lui, riposando in Lui (e) sapendo che il riposo consiste in ciò, che colmando la Deficienza egli (il Figlio?) ha abolito la Forma (schema):

la sua Forma (della  Deficienza)  è  il  mondo  (“cosmos”),  al  quale  egli  (il  Figlio?)  era  stato sottomesso (24, 11-24)… Poiché la Deficienza venne all’essere perché essi non conoscevano il Padre, perciò quando conoscono il Padre, la Deficienza nello stesso istante  cesserà  di  esistere.

Come  l’ignoranza  di  una  persona,  al  momento  che conosce, si dissolve spontaneamente;

come la tenebra si dissolve all’apparire della luce, così anche la Deficienza si dissolve al giungere della Perfezione.

Sicuramente da allora in poi la Forma non appare più, ma si dissolverà nella fusione con l’Unità… al momento in cui l’Unità perfezionerà gli spazi (= Eoni?).

(Così anche) (45) per mezzo dell’Unità ciascuno (di noi) ritroverà se stesso.

Per la conoscenza purificherà se stesso dalla diversità avviandosi all’Unità, consumando la materia in se stesso come una fiamma, la tenebra con la luce e la morte con la vita ».

Questo, dunque, è il racconto degli inizi quale il nostro scritto lo presenta, e la descrizione minuta del fondamento della speranza, che deve dare significato e conclusione   alla   proposizione   condensata   nella   «formula».

Ma   tale   racconto, destinato a sostenere una proposizione non altrimenti intelligibile, è esso stesso intelligibile così come è?

Ritengo che la risposta sia «no»:

è certamente suggestivo e complicato, ma adombra un mondo di significato che tuttavia sfugge alla nostra presa, a meno che non si possegga un aiuto estraneo.

Dobbiamo naturalmente dimenticare quanto è a nostra conoscenza del mito valentiniano da altre fonti e consultare solamente il linguaggio del testo.

Ora, che cosa può farsene un lettore impreparato dell’informazione che «l’Angoscia» divenne densa come nebbia, che «l’Errore» ha elaborato «la Materia» nel vuoto, che «esso» ha fatto una forma, ha prodotto opere, è andato in collera, eccetera?

che il Tutto era alla ricerca, che «essi» non conoscevano il Padre?

che la «Dimenticanza» ha avuto origine «a causa» della Profondità del Padre?

che la «Deficienza» ha una «forma» e si dissolve all’arrivo della Pienezza, quando «essi» conoscono il Padre?

Qualunque scarsa spiegazione il testo fornisca di questo linguaggio criptico, essa è messa in modo che cade inosservata, e la maggior parte delle volte è posta troppo avanti nel racconto tanto che bisognerebbe leggerlo partendo dalla fine per profittare di quegli accenni.

Così alla fine impariamo che è «l’Eone» che Lo ricerca, manca di conoscenza e giunge alla conoscenza di Lui: ma questo lo apprendiamo a p. 24 dove una volta tanto il nome è usato dopo precedenti affermazioni; da p. 18 in poi si ha la ripetizione del pronome «essi» senza spiegazione, che a sua volta rimpiazza l’espressione «il Tutto» con cui si apre il racconto a p. 17.

Per quanto è possibile ricavare da quel che il Vangelo stesso ci dice, potremmo fino a quel punto non sapere che «il Tutto» non è il mondo, che «essi» non sono persone umane, ma che entrambi i termini si riferiscono al Pleroma degli Eoni divini che precedono la creazione.

Oppure, per prendere un altro esempio, incontriamo alla fine, alla stessa p. 24, la parola-chiave “cosmos”, che spiega il significato di una quantità di termini precedenti che per se stessi non avevano alcun riferimento cosmologico:

perché è detto che il cosmos è la «forma» (“schema”) della «Deficienza»;

la Deficienza si può uguagliare alla «Dimenticanza» di p. 18 (perché prende il posto di quest’ultima nella formula), la Dimenticanza a sua volta è qui riferita all’«Errore» (“plane”) e alla sua «forma» (“plasma”), l’Errore a sua volta all’«Angoscia» e al «Terrore», essi di nuovo all’«Ignoranza»:

e così tutta la serie di concetti apparentemente psicologici e umani, in mezzo ai quali procede il misterioso racconto, viene autenticata quasi accidentalmente nel suo significato cosmico, che fino ad allora il lettore non iniziato ha potuto tutt’al più indovinare.

Egli si troverà ancora nell’imbarazzo su come rappresentarsi in concreto quelle astrazioni di mente e di emozione in funzione di attori  in  ruoli  cosmogonici.

Il  racconto  risulta  manchevole  ed  allusivo  senza  il riferimento alle principali “dramatis personae” quali la Sophia e il demiurgo.

Anche quei rari indizi che si son potuti raccogliere dal testo non sono dati semplicemente come fili conduttori, come il “dénouement” di cui il lettore era in attesa.

Si suppone che egli avesse tutto capito fin da principio:

i termini s’incontrano dove sono, come cosa del tutto naturale.

In altre parole, si supponeva che il lettore del Vangelo di Verità dovesse trovarsi a suo  agio  quando  incontrava  all’improvviso  dei  termini  oscuri  come  «Angoscia», «Terrore» e così via, come risultato di una precedente conoscenza del mito valentiniano attraverso  una versione completa che gli dava la possibilità di leggere  i  passi  del  Vangelo  di  Verità  come  una  ripetizione  condensata  di  una dottrina ben conosciuta.

Ora  tale  scoperta  è  di  una  qualche  importanza  per  la  giusta  valutazione  del documento in questione.

Innanzi tutto significa che non si ha un trattato sistematico o dottrinale, il che d’altra parte è evidente dal suo stile generale, omiletico.

Inoltre è esoterico, rivolto ad iniziati:

può perciò servirsi largamente, nelle parti speculative, di alcune parole in «codice», ciascuna delle quali è un’astrazione con un ambito in certo modo indefinito per quanto si riferisce alle entità mitiche concrete da esso indicate.

Infine, il quadro ridotto che offre del «sistema» (senza menzionare la Sophia, il demiurgo, il numero e i nomi degli Eoni, eccetera) non giustifica il giudizio che esso rappresenti uno stadio incipiente, ancora non sviluppato, embrionale per così dire, di quel sistema speculativo.

Esso rappresenta piuttosto un simbolismo di  secondo  grado.

Ma  è  davvero  significativo  che  il  senso  intimo  della  dottrina potesse essere espresso, almeno per i «conoscitori», in una forma così astratta invece di quella abbondante, personale con la quale era espresso nello stadio mitologico.

E ciò contiene la risposta alla domanda:

qual è il contributo del Vangelo di Verità alla nostra conoscenza della teoria valentiniana?

Nel campo della speculazione universale, che è quella che qui solo ci riguarda, il Vangelo di Verità può o non può aggiungere una nuova variante della dottrina valentiniana alle numerose conosciute dalla testimonianza patristica:

qualsiasi ricostruzione di essa dagli accenni sparsi che il linguaggio del testo ci offre, non può che rimanere tutt’al più assai congetturale.

Ma non è congetturale la concordanza nelle linee generali e nello spirito con l’”eidos” generale della speculazione valentiniana, perciò il Vangelo di Verità è di grande aiuto per una comprensione di quella speculazione che è molto più estesamente documentata nelle relazioni più antiche.

Infatti, i passi speculativi del Vangelo di Verità non sono semplicemente un’abbreviazione o un riassunto di qualche versione più completa:

essi mettono in risalto, nella loro contrazione simbolica, l’essenza della dottrina, spogliata dai suoi ampi accessori mitologici e ridotta al nucleo filosofico.

Così, come il Vangelo di Verità può essere letto soltanto con l’aiuto del mito circostanziato, anche il mito riceve da tale lettura una trasparenza quanto al suo significato spirituale fondamentale che è velato dalla quantità di immagini sensibili e necessariamente non univoche.

In questa funzione il Vangelo di Verità si comporta come una trascrizione pneumatica del mito simbolico.

E ciò che è ancora più inestimabile è che dall’epoca della sua scoperta sappiamo per la loro stessa autorità ciò che i Valentiniani consideravano il cuore della loro dottrina:

e che il cuore di quel cuore era la proposizione espressa nella «formula».

Sappiamo che quella formula era conosciuta anche prima (sebbene non riconosciuta come una formula) dal famoso passo di Ireneo che abbiamo citato.

Ireneo stesso non le dà particolare rilievo:

il passo è posto alla fine della relazione sulla dottrina valentiniana,  tra  informazioni  supplementari  diverse,  ed  è  infilato  dentro  (o piuttosto, come credo, segue) i capitoli che trattano dell’eresia marcosiana, ciò che ha condotto gli studiosi a vedere in esso un principio particolare di una varietà di questa ramificazione dell’albero valentiniano e non centrale del valentinianismo come tale.

Tuttavia il passo per lungo tempo ha fatto grande impressione sugli studiosi di gnosticismo per il suo significato intrinseco.

Inaspettatamente tale impressione è ora confermata dalla testimonianza più autentica.

Perché il Vangelo di Verità (la cui autorità deve essere stata grande tra i Valentiniani, se è il Vangelo di Verità che è attribuito ad essi da Ireneo) stabilisce in poche parole niente meno che la verità racchiusa nella «formula» è il vangelo di verità!

Che il periodo in questione fosse di uso corrente come formula lo apprendiamo solo ora dalle ripetizioni adoperate nel nostro testo.

Che fosse usata dai Valentiniani lo sappiamo da Ireneo.

E soltanto i Valentiniani potevano usarla legittimamente, perché nessuna speculazione, tranne quella valentiniana, fornisce ad essa un contesto valido.

Per comprendere ciò, il lettore è rinviato alla caratterizzazione generale del «principio speculativo del valentinianismo» all’inizio del cap. 7 , che termina con l’esposizione di ciò che io chiamo là «l’equazione pneumatica», ossia:

che l’evento umano- individuale della “conoscenza” pneumatica è l’equivalente inverso dell’evento precosmico universale dell’ignoranza divina, e, nel suo effetto redentore, è dello stesso ordine ontologico;

e che perciò la realizzazione della conoscenza nella persona è nello stesso tempo un atto sul piano generale dell’essere.

La «formula» è precisamente un’espressione stenografica dell’equazione pneumatica, che perciò è il Vangelo di Verità.

a cura di Hans Jonas

fonte:

http://www.chiesagnostica.org/le-recenti-scoperte-nel-campo-dello-gnosticismo-hans-jonas/?doing_wp_cron=1564395370.2753179073333740234375